venerdì 21 ottobre 2011

La parola "pace"...

Ieri ho fatto festa. Non per la morte di un dittatore ma per la fine di una guerra.



Non è stato un bello spettacolo. Quelle immagini implacabili degli ultimi momenti di Gheddafi e del figlio, quei corpi martoriati tra la folla inneggiante sono difficili da dimenticare. Per un italiano il raffronto con l'osceno spettacolo di Piazza Loreto è impossibile da eludere. Se l'esibizione del corpo del defunto dittatore è per certi versi un dovere storico, per documentare al di là di ogni dubbio la sua fine e prevenire tentazioni di resistenza ad oltranza da parte di frange di fanatici, d'altra parte si tratta pur sempre di esseri umani, e in nome della nostra comune umanità la morte richiederebbe comunque rispetto e non sguaiataggine.

In questi otto mesi, purtroppo, di immagini altrettanto, se non ancora più crudeli se ne sono viste tante, troppe. Ci sono stati dei momenti in cui non me la sentivo più di cliccare sui link che mi avrebbero mostrato nuove vittime, nuove atrocità. Adulti e bambini morti e mutilati, grappoli di vittime uccise con le mani legate dietro la schiena, corpi fatti a pezzi, bruciati, torturati: nessuna efferatezza è stata risparmiata e tutto è stato mostrato quasi in tempo reale in ogni angolo del nostro villaggio globale. E non si può negare che colui che ha voluto questa carneficina e questa serie di orrori sia stato proprio lui: il capriccioso e sanguinario despota che, pur di non accogliere l'invito a cedere il potere, ha dato il via a questa sciagurata spirale di violenza. Con un po' di cinismo si può dire che  ha raccolto quello che ha seminato.

Ciò detto, ci può consolare la consapevolezza che d'ora in avanti, nuove immagini di violenza ed orrori non se ne dovrebbero vedere più. Queste immagini-shock saranno -si spera- le ultime che ci toccherà vedere. La testa del serpente è stata schiacciata e ben difficilmente i combattimenti si protrarranno oltre. La parola "pace" era estremamente frequente nei discorsi dei libici durante i primi tempi della rivoluzione: tutti i combattenti strappati alle loro occupazioni quotidiane per fare fronte alla violenza di Gheddafi non vedevano l'ora di ritornare a svolgere il loro lavoro, in un paese libero ed in pace. Se ci penso, mi accorgo che ultimamente questo tipo di discorsi si è fatto meno frequente. Probabilmente questo dipende anche dal fatto che, vinta di fatto la guerra con la caduta di Tripoli, i combattenti più ansiosi di tornare alla vita civile hanno effettivamente già abbandonato le armi e sono già al lavoro per la ricostruzione (molte cose belle e positive sono in cantiere, anche se la stampa italiana tende ad ignorarle), mentre quelli che hanno continuato a combattere sono in gran parte individui che non si trovano del tutto a disagio con un'arma in mano. Sta di fatto che adesso anche questi ultimi faranno -si spera- ritorno a casa e la Libia finalmente volterà pagina.

È dura, la guerra, ma anche costruire la pace non sarà uno scherzo.

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