mercoledì 13 giugno 2012

Verso una nuova guerra. E i pacifisti dove sono?

Nel silenzio assordante ed agghiacciante dei media di tutta Europa, stiamo assistendo in questi giorni ai preparativi di una nuova guerra. Una guerra in Africa. A chi importa? Guerra più, guerra meno, si sa che quel “martoriato continente" non può fare a meno di guerre, e non sarà questo nuovo conflitto a togliere i sonni agli Europei, che in questo momento hanno "ben altro" cui pensare, con tutti i guai dell'euro e delle loro banche, centrali e non.

Da ieri, martedì 12 giugno, si sono riuniti ad Abidjan i responsabili della "Cédéao" (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) che stanno programmando un intervento armato per "riprendere" i territori sahariani che appartenevano al Mali e che i tuareg hanno liberato proclamando l' indipendenza del nuovo stato dell'Azawad il 6 aprile scorso. Si parla di una forza di 3000 uomini che potrebbero essere triplicati. La Francia del socialista Hollande, ex potenza coloniale e tuttora "regista" della politica dell'Africa Occidentale, evita di impegnarsi direttamente ma fa capire di essere pronta a sostenere con armi e organizzazione un'eventuale azione di forza. E il silenzio di tutti i media europei sulla faccenda è un ottimo alleato di questa politica che preferisce agire al riparo dal giudizio della comunità internazionale.

Il Mali è un paese con un altissimo tasso di inefficienza, corruzione e povertà. La rivolta dei tuareg nasce anche dal desiderio di autogovernarsi senza più dipendere da questo stato che alle proprie carenze strutturali aggiunge un atteggiamento razzistico, non sempre velato da parole di circostanza, verso le popolazioni "bianche" del nord del paese. La scelta di "creare" questo stato al momento della decolonizzazione, nonostante le pressanti richieste delle popolazioni tuareg, che nel 1958 rivolsero un appello al generale De Gaulle, è stata un'imposizione che ha recato oltre 50 anni di sofferenze alle popolazioni del deserto. Ciononostante, la parola d'ordine che tutti ripetono ossessivamente è quella dell' "intangibilità" di tutte le frontiere create dal colonialismo. Vi è il terrore che questo precedente possa dare il via ad una serie di modifiche di confini in tutto il continente africano. E in nome della "stabilità" si continuano a mantenere in vita regimi che favoriscono sfacciatamente questo o quel clan limitandosi a cooptare nel proprio seno qualche approfittatore appartenente alle etnie oppresse che, perseguendo soltanto vantaggi personali, serve a fornire una facciata di concordia "nazionale". Il che non lascia speranze di evoluzione in senso di un autogoverno democratico e responsabile di tutte le popolazioni.

Il MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad) è stato fin qui semplicemente ignorato. In questo modo, in Europa nessuno conosce i suoi programmi e le sue strategie politiche, lo spirito laico e democratico che lo anima e il senso di fierezza e dignità che esso esprime. Le poche notizie che trapelano dal Mali parlano di islamisti scatenati, di violenze incontrollate, di abusi e disprezzo dei diritti umani. Ma si tratta solo di voci rilanciate ad arte da chi, nel sud del paese, ignora tutto di quello che che avviene nell'Azawad e non fa che dar fiato agli stereotipi razzisti che circolano presso una popolazione che non ha mai amato i tuareg e gli altri abitanti del Sahara. Nessuno riferisce, invece, della indecente caccia all'uomo che si è aperta nel sud del Mali contro tutti i tuareg ivi residenti. Si sono visti anche ospedali saccheggiati e distrutti perché diretti da tuareg; tutti i tuareg, anche quelli che risiedevano a Bamako da una vita, sono dovuti fuggire: una vera "pulizia etnica" che però sembra sfuggire all'occhio distratto dei media occidentali. E la presenza di islamisti armati nel deserto, da anni tollerati e, si dice, favoriti da esponenti del governo in cambio di una parte degli utili dei loro traffici di armi, droghe ed esseri umani, viene oggi scoperta e imputata al MNLA, che oltre a dover combattere contro questi avversari potenti e fanatici si trova ad essere accusato proprio delle colpe di questi ultimi.

Non so se e come sia possibile rompere questo muro di omertà. A Milano abbiamo proposto un'iniziativa che spera di attivare l'interesse sulla questione dell'Azawad, organizzando una tavola rotonda cui abbiamo invitato il portavoce del MNLA (Mossa Ag Attaher) e un parlamentare europeo esperto di problemi del Nordafrica (Antonio Panzeri). Ma tutti i contatti che ho fin qui avuto con la stampa sono stati deludenti. Nessuno si è dimostrato interessato ad un'intervista su di un argomento di scottante attualità con uno dei protagonisti degli eventi. Una vergogna, che conferma il livello infimo e provinciale dei media italiani.  "Occhio non vede, cuore non duole", diceva il vecchio adagio, e questo sembra essere il motto dei mezzi di informazione italiani. Lasciamo che gli italiani continuino a sognare i tuareg come i fieri e misteriosi abitatori del deserto...






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